La storia di S. Alberto si ricollega inevitabilmente alle vicende che, a cavallo dell'anno mille, accaddero in questi luoghi. Tempi bui e pericolosi dove la legge era quella dei signori feudali che per decreto imperiale spadroneggiavano sul territorio. Solo ai mistici, agli eremiti in odore di santità, erano riservati trattamenti di rispetto, e tra di essi vi era a quel tempo un monaco di nome Alberto.
Nel 1020 questo monaco eremita, che adotterà poi la regola di S. Benedetto, proviene dalla non lontana Abbazia di Bobbio (fondata nel 614 dall’irlandese San Colombano), e vagando nelle terre comprese tra la Valle Staffora e la Val di Nizza giunse sull’altura di Butrio, proprio sullo sperone che divide il vallone del Begna da quello del Butrio. Evidentemente colpito dalle bellezze dello scenario naturale decise di fermarsi, trovando riparo in una grotta naturale. Dopo la miracolosa guarigione di un figlioletto muto del marchese di Casasco (Obizzone Malaspina), questi in segno di riconoscenza gli edificò una chiesa romanica dedicata alla Madonna in cui Sant’Alberto ed i suoi seguaci eremiti potessero celebrare i divini uffizi.
L’abbazia, con la presenza monastica benedettina, si sviluppò sempre più nei secoli successivi, richiamando folle di pellegrini e fedeli nel convento, prima nell’oratorio di S. Maria e poi, quando il frate eremita morì in santità e vi fu sepolto, nella chiesa dedicata a S. Alberto. L’eremo raggiunse il suo massimo splendore nei secoli XIII e XIV, abbellito da affreschi e da pregiati quadri.
Dopo la morte di Sant’Alberto, l’Eremo crebbe ancora in potenza e numero di monaci tanto da divenire un centro spirituale di una vastissima zona. Ospitò illustri personaggi ecclesiastici e laici. La tradizione vuole che lo stesso Federico Barbarossa nel 1167 avesse soggiornato per alcuni giorni a S. Alberto, dimorando nella piccola torretta trapezoidale, dalla quale si dominava tutto il paesaggio sottostante, torretta della quale purtroppo rimane ora solo la base.
Prospera per quattro secoli, l’abbazia di Butrio decadde con gli abati commendatari e fu soppressa dal governo napoleonico nel 1810, ma ai primi del ‘900 ispirò don Orione a fondarvi una comunità monastica.
Fra i monaci vi fu il non vedente frate Ave Maria, al secolo Cesare Pisano, mancato il 21 gennaio 1964, di cui è in corso la causa di beatificazione e i cui resti si venerano nell’Eremo, anche oggi dimora della comunità contemplativa orionina.
L’abbazia, con la presenza monastica benedettina, si sviluppò sempre più nei secoli successivi, richiamando folle di pellegrini e fedeli nel convento, prima nell’oratorio di S. Maria e poi, quando il frate eremita morì in santità e vi fu sepolto, nella chiesa dedicata a S. Alberto. L’eremo raggiunse il suo massimo splendore nei secoli XIII e XIV, abbellito da affreschi e da pregiati quadri.
Dopo la morte di Sant’Alberto, l’Eremo crebbe ancora in potenza e numero di monaci tanto da divenire un centro spirituale di una vastissima zona. Ospitò illustri personaggi ecclesiastici e laici. La tradizione vuole che lo stesso Federico Barbarossa nel 1167 avesse soggiornato per alcuni giorni a S. Alberto, dimorando nella piccola torretta trapezoidale, dalla quale si dominava tutto il paesaggio sottostante, torretta della quale purtroppo rimane ora solo la base.
Prospera per quattro secoli, l’abbazia di Butrio decadde con gli abati commendatari e fu soppressa dal governo napoleonico nel 1810, ma ai primi del ‘900 ispirò don Orione a fondarvi una comunità monastica.
Fra i monaci vi fu il non vedente frate Ave Maria, al secolo Cesare Pisano, mancato il 21 gennaio 1964, di cui è in corso la causa di beatificazione e i cui resti si venerano nell’Eremo, anche oggi dimora della comunità contemplativa orionina.
Gli affreschi
Cristo, effigiato in pietà secondo un modello allora consueto, con la Madonna incoronata dagli angeli e con una folla di santi: S. Antonio Abate, S. Stefano, S. Sigismondo di Borgogna, S. Girolamo, S. Francesco d’Assisi, S. Bernardino da Siena, S. Nicola da Tolentino, S. Bovo, S. Giorgio col drago e la principessa liberata, il S. Lazzaro della parabola lucana coi cani che gli leccano le piaghe, S. Pietro con le chiavi, S. Sebastiano trafitto dalle frecce, S. Lucia e S. Agata coi segni del loro martirio – rispettivamente gli occhi e i seni strappati – e altri ancora.
Particolare rilievo vi ha S. Caterina di Alessandria, raffigurata in cinque momenti della sua “Passione”: la disputa coi filosofi, l’incarceramento, il supplizio della ruota dentata, la decapitazione, la sepoltura col trasporto dell’anima in cielo.
Tutti gli affreschi sono del 1484, dipinti da luglio a settembre, i quali non recano firma. Fino a tempi recenti furono attribuiti alla scuola dei fratelli Manfredino e Francischino Baxilio di Castelnuovo Scrivia. Ora vi è la tendenza di attribuirli ad un monaco pittore che per umiltà ha voluto conservare l’anonimato. Si suppone che molti affreschi, specialmente nella chiesa di Santa Maria, siano andati perduti nel corso dei secoli per insulsi restauri. La chiesa di Santa Maria è stata restaurata, riportandola all’aspetto primitivo, nel 1973 in occasione del nono centenario della morte di Sant’Alberto. Nello stesso anno sono state eseguite le scalinate nel sagrato dell’Eremo ed altri lavori.
Particolare rilievo vi ha S. Caterina di Alessandria, raffigurata in cinque momenti della sua “Passione”: la disputa coi filosofi, l’incarceramento, il supplizio della ruota dentata, la decapitazione, la sepoltura col trasporto dell’anima in cielo.
Tutti gli affreschi sono del 1484, dipinti da luglio a settembre, i quali non recano firma. Fino a tempi recenti furono attribuiti alla scuola dei fratelli Manfredino e Francischino Baxilio di Castelnuovo Scrivia. Ora vi è la tendenza di attribuirli ad un monaco pittore che per umiltà ha voluto conservare l’anonimato. Si suppone che molti affreschi, specialmente nella chiesa di Santa Maria, siano andati perduti nel corso dei secoli per insulsi restauri. La chiesa di Santa Maria è stata restaurata, riportandola all’aspetto primitivo, nel 1973 in occasione del nono centenario della morte di Sant’Alberto. Nello stesso anno sono state eseguite le scalinate nel sagrato dell’Eremo ed altri lavori.
Il contesto simbolico dell'architettura
Secondo il Guagnini tre torri quadrate, alte 15-20 m, di fondazione romana, marcavano in linea retta il percorso attraverso l’Appennino, a Pozzolgroppo, S. Alberto di Butrio e Oramala. Tale tracciato forma un angolo di 10°30’ rispetto all’asse W-E. La descrizione si basa sulla superstite torre d’accesso dell’ Abbazia, la cui fondazione romana è per lo meno discutibile, e su tracce presenti nei due castelli considerati, che fanno presumere l’esistenza di corpi a pianta quadrata o rettangolare, precedenti le ultime ricostruzioni. In particolare la diagonale del vano sotterraneo di Oramala appare orientata lungo tale direzione. Non possiamo dire con certezza sulle tipologie originali dei castelli oltrepadani, che ci sono tutti pervenuti dopo ricostruzioni in epoche posteriori ai secoli di cui stiamo trattando, In particolare quelli di Oramala e di Zavattarello furono ricostruiti nel sec. XV. Dalle osservazioni appaiono sorprendenti coincidenze negli allineamenti dei diversi edifici tra loro e rispetto alle cime circostanti.
Nella sua ricostruzione attuale, ad esempio, il castello di Oramala presenta l’asse principale orientato con precisione sulla linea che dal prospicente Poggio del Re (m 809,90 di quota, m 1250 di distanza) si dirige al più lontano Castello di Varzi (Km 3 in linea d’aria), con un angolo di - 15° rispetto al Nord geografico. Ben diverso però è l’orientamento dei lati di quel locale interrato in cui alcuni vorrebbero ravvisare le tracce della costruzione più antica.
Nella sua ricostruzione attuale, ad esempio, il castello di Oramala presenta l’asse principale orientato con precisione sulla linea che dal prospicente Poggio del Re (m 809,90 di quota, m 1250 di distanza) si dirige al più lontano Castello di Varzi (Km 3 in linea d’aria), con un angolo di - 15° rispetto al Nord geografico. Ben diverso però è l’orientamento dei lati di quel locale interrato in cui alcuni vorrebbero ravvisare le tracce della costruzione più antica.
La leggenda del castello scomparso
Molti castelli originari delle Valli dell’Oltrepò pavese sono stati distrutti dall'abbandono secolare. Altri, come quelli di Oramala, di Montù Beccaria e di Zavattarello, sono rimasti deserti per lungo tempo e sono caduti in rovina, prima di conoscere una nuova stagione di restauri, che in misura maggiore o minore, li hanno resuscitati.
Come nella leggenda del Graal, anche le vallate del nostro Oltrepò celano gelosamente alcuni misteri. Nelle alte vallate si favoleggiava di corti d'amore scomparse ma anche di luoghi truci dai quali i castellani dominavano incontrastati, terrorizzando i valligiani e rapendone le figlie; di fantasmi che popolavano le notti senza luna. Certo anche su queste montagne, non meno che in Scozia, in Irlanda, nella valle del Reno o nella Transilvania, la vita feudale e i rapporti di vassallaggio e di servitù erano duri.
Anche queste colline videro passare cavalieri, splendidi nelle loro armature, che partivano per le crociate o alla ricerca del Santo Graal, recando con se la sciarpa donata da una donna che si chiamava Beatrice o Selvaggia. Menestrelli e trovatori si arrampicavano verso i castelli della montagna, veri e propri "nidi d'aquile" arroccati in siti quasi inaccessibili.
Riusciamo ad immaginare il primitivo splendore dell'apparire in lontananza castelli come Oramala o Zavattarello, dopo un lungo cammino attraverso monti o valli boscose ? Riusciamo a ricomporre la meraviglia dell' Eremo di S. Alberto di Butrio, aggrappato al versante di una stretta forra torrentizia? Altri castelli sono scomparsi (citiamo ad esempio "la corte verde", il castello di Cecima, quello di Canneto, Monte Succo, ma quanti altri?). Nelle alte vallate si favoleggia di intere città scomparse risalenti ai Romani o alle invasioni saracene, nei secoli che precedettero l'anno mille. Queste terre, percorse da cavalieri e cantori, vissero il periodo intenso delle crociate e le magie "dell'amor cortese". Queste valli celano una storia e una magia che nulla avrebbe da invidiare alle saghe di re Artù. Vogliamo provare a percorrerle con il gusto di questa scoperta, a cercare anche noi il "Graal" nascosto nei luoghi più reconditi del nostro appennino? D'altra parte lo stesso nome Auramala può celare un probabile etimo celtico aura-mol: la collina d'oro, sacra a Marte o a un dio-guerriero dalle caratteristiche marziali (il mitico Gargan-Gargantua); o forse prese questo nome da mala ora, dopo che Federico Barbarossa trovò riparo presso il Marchese Malaspina, dopo la disastrosa fuga da Roma in preda alla peste (1167).
Occorre approfondire le ricerche intorno alle etimologie. Le origini delle antiche lingue ligure e celtica di nomi come Varzi, Zavattarello, Butrio (burrone?) o altri rimangono da chiarire e potrebbero riservare interessanti sorprese.
Come nella leggenda del Graal, anche le vallate del nostro Oltrepò celano gelosamente alcuni misteri. Nelle alte vallate si favoleggiava di corti d'amore scomparse ma anche di luoghi truci dai quali i castellani dominavano incontrastati, terrorizzando i valligiani e rapendone le figlie; di fantasmi che popolavano le notti senza luna. Certo anche su queste montagne, non meno che in Scozia, in Irlanda, nella valle del Reno o nella Transilvania, la vita feudale e i rapporti di vassallaggio e di servitù erano duri.
Anche queste colline videro passare cavalieri, splendidi nelle loro armature, che partivano per le crociate o alla ricerca del Santo Graal, recando con se la sciarpa donata da una donna che si chiamava Beatrice o Selvaggia. Menestrelli e trovatori si arrampicavano verso i castelli della montagna, veri e propri "nidi d'aquile" arroccati in siti quasi inaccessibili.
Riusciamo ad immaginare il primitivo splendore dell'apparire in lontananza castelli come Oramala o Zavattarello, dopo un lungo cammino attraverso monti o valli boscose ? Riusciamo a ricomporre la meraviglia dell' Eremo di S. Alberto di Butrio, aggrappato al versante di una stretta forra torrentizia? Altri castelli sono scomparsi (citiamo ad esempio "la corte verde", il castello di Cecima, quello di Canneto, Monte Succo, ma quanti altri?). Nelle alte vallate si favoleggia di intere città scomparse risalenti ai Romani o alle invasioni saracene, nei secoli che precedettero l'anno mille. Queste terre, percorse da cavalieri e cantori, vissero il periodo intenso delle crociate e le magie "dell'amor cortese". Queste valli celano una storia e una magia che nulla avrebbe da invidiare alle saghe di re Artù. Vogliamo provare a percorrerle con il gusto di questa scoperta, a cercare anche noi il "Graal" nascosto nei luoghi più reconditi del nostro appennino? D'altra parte lo stesso nome Auramala può celare un probabile etimo celtico aura-mol: la collina d'oro, sacra a Marte o a un dio-guerriero dalle caratteristiche marziali (il mitico Gargan-Gargantua); o forse prese questo nome da mala ora, dopo che Federico Barbarossa trovò riparo presso il Marchese Malaspina, dopo la disastrosa fuga da Roma in preda alla peste (1167).
Occorre approfondire le ricerche intorno alle etimologie. Le origini delle antiche lingue ligure e celtica di nomi come Varzi, Zavattarello, Butrio (burrone?) o altri rimangono da chiarire e potrebbero riservare interessanti sorprese.